Mentre passeggiamo per strada incontriamo un nostro vicino, lo guardiamo e sorridendo diciamo: “Buongiorno!”, il nostro vicino contraccambia il saluto e risponde: “Buongiorno!”.
In questa situazione ci siamo appena scambiati una carezza. Una carezza è definita un'unità di riconoscimento (Stewart – Joines, 1987).
Questi tipi di scambi sono talmente famigliari per noi che non ci facciamo più caso, ma ora immaginiamo la stessa situazione con una variazione, ossia il nostro vicino non contraccambia il nostro saluto, ci passa avanti come se non ci fossimo: che cosa provereste?
Probabilmente vi chiedereste: “Che cosa è successo?”.
In generale è possibile affermare che abbiamo bisogno di carezze e ci sentiamo deprivati se non le otteniamo.
Alcune persone hanno l’abitudine di dare carezze che cominciano col sembrare positive ma poi danno una “frecciata” negativa finale: “vedo che cominci a capire, più o meno”, queste carezze comunicano qualcosa di positivo ma poi è come se lo annullassero.
Altre persone sono molto generose nel dare carezze positive ma lo fanno in modo non sincero: “che bello il tuo articolo! Quando l’ho letto ho pensato che era molto interessante, molto acuto…”.
Ci sono anche persone che hanno difficoltà a dare carezze positive e non ne danno affatto. Spesso ai genitori capita di dare carezze in modo condizionato: “ti voglio bene se fai il bambino bravo”.
La modalità con cui diamo carezze è strettamente legato al nostro background culturale e famigliare, se ci soffermiamo a pensare alla nostra storia da bambini possiamo trovare dei collegamenti con il nostro modo di dare carezze da adulti.
Noi tutti abbiamo delle preferenze, alcuni preferiscono ricevere carezze per quello che fanno piuttosto che per quello che sono, alcuni preferiscono essere accarezzati fisicamente, altri solo verbalmente.
La maggior parte di noi preferisce ricevere le carezze che è stato abituato a ricevere. A causa di questa famigliarità possiamo svalutare altri tipi di carezze, oppure può darsi che inconsciamente vorremmo ricevere le carezze che raramente otteniamo ma non siamo capaci di chiederle o di accettarle. Supponiamo che io da bambina abbia sempre desiderato ricevere un abbraccio da mamma e che lei raramente lo abbia fatto, per alleviare la sofferenza di non riceverle, può darsi che io decida di negare il mio bisogno di ricevere degli abbracci affettuosi e può accadere che da adulta io mantenga questa strategia senza esserne affatto consapevole.
Si esiste.
Quando una persona ottiene una carezza non in sintonia con la sua “modalità preferenziale” è probabile che la ignori o la sminuisca. Sentendo una carezza “non in sintonia” potreste dire: “Grazie”, ma nel dirlo potete arricciare il naso e storcere la bocca, oppure potreste mettervi a ridere e dire: “Si va be!”.
Ma perché rifiutiamo alcune carezze? Ci avvaliamo del nostro filtro delle carezze per poter mantenere l’idea che abbiamo di noi stessi e degli altri. Le persone che hanno avuto un’infanzia molto dolorosa possono decidere che non è sicuro accettare nessun tipo di carezza e hanno un filtro così stretto che sfuggono a qualsiasi carezza viene loro offerta. Così facendo mantengono la loro sicurezza interiore ma si privano della possibilità di esperire da adulti le carezze in un modo nuovo e magari gratificante.
Per riprenderci la nostra consapevolezza, spontaneità e intimità secondo Steiner (1987) possiamo cominciare pensando che: