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In occasione del Mese del Benessere Psicologico, come vi ho anticipato, parteciperò attivamente anche io con consulenze gratuite e un seminario dedicato al tema dell’autostima, che si terrà sabato 11 ottobre 2014, dalle ore 10:30 – 12:30 nella Sala Multimediale della Chiesa S. Maria delle Grazie, Via della Bufalotta, 674 Roma.

Se ne sente parlare spesso e spesso mi viene chiesto che cosa sia l’autostima e se sia possibile potenziarla per stare meglio con se stessi e con gli altri. La risposta è articolata ed ecco l’idea di organizzare un seminario che rappresenti un’opportunità per approfondire il discorso a 360° e rispondere a queste e altre curiosità.

Se volete saperne di più, potete cliccare qui per andare alla pagina ufficiale e prenotarvi al seminario.

Mi farebbe piacere se partecipaste numerosi!

"Mi sento in colpa…" non è solo un modo di dire piuttosto ricorrente, il senso di colpa è un sentimento, un mix di elementi emotivi e cognitivi, che deriva dalla convinzione, a volte ingiustificata, di poter danneggiare qualcuno o qualcosa.

Il senso di colpa è un sentimento “utile”?

Il senso di colpa è una “risorsa relazionale”, è correlato all’altruismo e all’empatia e ci spinge ad osservare le conseguenze delle nostre azioni, ci permette quindi di prendere coscienza dell'altro, ci costringe ad una messa in discussione e ad un'assunzione di responsabilità sociale.

Quando il senso di colpa diventa negativo?

Il senso di colpa diventa negativo quando si trasforma in comportamenti autodistruttivi e autolimitanti. Può accadere che la colpa non sia necessariamente associata ad una esperienza di vita pratica, ma nasca da un senso di inadeguatezza non compreso, da un senso di inferiorità, può quindi scaturire da scenari inconsci, trasformandosi in un'angoscia legata alla convinzione di essere incapaci di essere apprezzati o di poter danneggiare gli altri.

Quali sono le origini del senso di colpa?

Nella maggior parte dei casi il senso di colpa nasce da un “devo”: “non devo far soffrire gli altri”, “devo essere sempre disponibile”. Ci sentiamo in colpa ogni volta che i nostri pensieri o il nostro comportamento non sono all’altezza dei nostri ideali.

Il senso di colpa detto “residuo” è la reazione emotiva scatenata dai ricordi dell'infanzia. Si riallaccia a frasi del tipo: “devi vergognarti per ciò che hai fatto”. Da bambini assorbiamo non solo alcuni degli ideali dei nostri genitori, ad esempio “devi sempre sforzarti nella vita”, ma assorbiamo anche i loro atteggiamenti correttivi: castigo; rabbia o frustrazione; senso di vergogna; rigetto per l’errore commesso. Da adulti tendiamo a ripetere i loro metodi interiorizzando un nostro genitore “correttivo o punitivo”. Il senso di colpa deriva quindi da norme, divieti ed ordini interiorizzati in maniera rigida e porta a reprimere i propri bisogni ed il proprio progetto di vita.

Esiste anche un senso di colpa “autoimposto” che porta la persona a rimanere immobilizzato dal dolore e dalla vergogna che si autoinfligge come punizione per aver commesso azioni che violano un sistema di valori che egli stesso si è dato. È il senso di colpa di chi per esempio ha imparato che “non deve essere troppo indulgente con se stesso”.

Esistono dei vantaggi psicologici nel sentirsi in colpa?

Spesso si “sceglie” più o meno consapevolmente, il senso di colpa come compromesso di resistenza al cambiamento e di adattamento alle aspettative altrui:

  • investendo il proprio tempo nel sentirsi colpevoli, non si ha modo di impegnarsi in un processo di rivalutazione e di cambiamento dei propri valori e comportamenti
  • spostando l’attenzione ad un evento accaduto nel passato, si evita di affrontare i rischi che un cambiamento comporterebbe nel presente
  • il senso di colpa può essere usato inconsapevolmente come mezzo per recuperare la sicurezza e la protezione, invitando gli altri a prendersi cura di sé
  • si può ricevere l'approvazione degli altri nel sentirsi rammaricati del gesto commesso.

Come contrastare i sensi di colpa che ci impediscono di vivere serenamente?

Dopo aver illustrato cosa è il senso di colpa e da dove ha origine, viene spontaneo chiedersi come contrastare questo sentimento tanto complesso e tanto vincolante. Questa forse è tra le domande più stimolanti sul tema, per questo ho deciso di dedicargli un articolo a parte che pubblicherò prossimamente.

Nel precedente articolo “Mi sento in colpa…” …” abbiamo definito il senso di colpa come un sentimento che deriva dalla convinzione di poter danneggiare qualcosa o qualcuno. Il senso di colpa è una “risorsa relazionale” che ci orienta nelle relazione sociali, tuttavia può diventare negativo se si traduce in comportamenti autodistruttivi. L’origine di questo complesso sentimento deriva dalle norme culturali trasmesse nei primi anni di vita dalla famiglia d’origine e dalla società.

Ma come alleviare il senso di colpa? Per rispondere a questa domanda utilizzerò alcuni concetti base dell’Analisi Transazionale, teoria psicologica sulla quale si basa il mio modo di concepire la personalità.

Ogni personalità può essere rappresentata da diversi “Stati dell’Io” che si esprimono in funzione delle circostanze:

  • Stato dell’Io Genitore: mi comporto, penso e sento utilizzando le modalità che ho appreso dalle figure genitoriali. Si suddivide in due stati: Genitore Affettivo e Genitore Normativo
  • Stato dell’Io Adulto: mi comporto, penso e sento dando risposte nel qui-ed-ora utilizzando tutte le capacità che ho acquisito da adulto. Il compito di questo Stato dell’Io è di elaborare ed immagazzinare le nuove informazioni sulla base dell'esperienza precedente
  • Stato dell’Io Bambino: mi comporto, penso e sento come facevo quando ero bambino. Si suddivide in diversi sottostati: Bambino Spontaneo, Bambino Sottomesso e Bambino Ribelle

Alla luce di questa teoria, possiamo rintracciare il senso di colpa nello Stato dell’Io Genitore. Per una personalità sana ed equilibrata abbiamo bisogno di tutti gli Stati dell’Io, se ad esempio, il nostro Bambino interiore è represso da uno Stato dell’Io Genitore molto severo, l’Adulto interiore avrà difficoltà di adattamento nella vita affettiva o anche in quella professionale, a prescindere dalle sue capacità cognitive ed organizzative.

I quattro passaggi fondamentali per alleviare il senso di colpa

1° passaggio: allearsi con il “Genitore Affettivo”

Utilizziamo il nostro Genitore Affettivo quando siamo davvero in grado di prenderci cura dei nostri bisogni (alimentazione, sonno, svago). Se questa parte è deficitaria, ogni volta che ci sentiamo in colpa per un errore o una mancanza, tenderemo a colpevolizzarci e a sminuirci, anziché prenderci cura di noi stessi nei momenti di difficoltà.

Strategie pratiche: sosteniamo il nostro sistema di valori, regole ed aspettative

Quali sono i valori in cui credo profondamente? Proviamo a tenere saldi dentro di noi questi valori e lasciamo andare quelli indotti dalla società o dalla famiglia in cui “crediamo ma non crediamo davvero”.

2° passaggio: mettere a tacere il “Genitore Normativo”

Il Genitore Normativo ha il compito di proteggere e sviluppare il valore della persona. Se tale funzione è squilibrata, nel momento in cui ci sentiamo in colpa, inizia un’attività assillante che sottolinea ogni errore e sorveglia il nostro dialogo interiore. Attiviamo dunque una parte di noi giudicante e severa che produce un calo della nostra autostima ed un forte senso di colpevolizzazione.

Strategie pratiche: prestiamo attenzione al nostro “senso di onnipotenza”

Il senso di colpa nasce anche da una sopravvalutazione delle nostre capacità o dalla sensazione onnipotente di essere la causa unica dei sentimenti e delle scelte degli altri. Ad esempio pensando “ho fatto piangere mia madre, è tutta colpa mia”, rischiamo di minimizzare l’impatto di altri eventi che possono avere scatenato quel sentimento e rischiamo di svalutare le risorse della persona in questione.

3° passaggio: affidarsi all'“Adulto”

L'Io Adulto ama imparare, capire, elaborare informazioni. È particolarmente prezioso perché è in contatto diretto con la realtà, i bisogni del nostro Bambino e le regole del Genitore interno, rappresenta quindi l’espressione dell’interezza di una persona.

Strategie pratiche: impariamo a valutare in anticipo le conseguenze delle nostre azioni e ricordiamoci che non è possibile cambiare il passato

Il senso di colpa vissuto come auto-denigrazione porta solo alla dissipazione interiore, non cambierà ciò che è avvenuto e non ci aiuterà a renderci migliori. Possiamo pensare al senso di colpa come ad una “scottatura per aver preso troppo sole”: una volta scottati bisogna aver pazienza, ripeterci quanto siamo stati incauti non ci aiuterà a far guarire le nostre bruciature, se vogliamo evitare di bruciarci in futuro, dobbiamo cominciare a pensare a diverse modalità per esporci al sole la prossima volta. Usiamo dunque i nostri errori per pensare a nuove forme di comportamento.

Strategie pratiche: differenziamo tra la “colpa soggettiva” e la “colpa oggettiva”

Valutiamo la differenza tra nostra percezione e la realtà dei fatti. Proviamo a pensare che sia stato un nostro amico a compiere l’azione che ci fa stare così male. Se il senso di colpa è immotivato, probabilmente troveremo molte giustificazioni per il suo operato. Ragionando sui comportamenti altrui, le emozioni non interferiscono con i nostri processi cognitivi e possiamo avere un punto di vista più lucido.

4° passaggio: mettere al sicuro il nostro “Bambino”

Ogni persona porta dentro di sé due bisogni molto importanti ma in contrapposizione tra loro, ossia affermarsi e ricevere approvazione. Crescere e maturare significa dare priorità al bisogno di affermarsi, aprendosi al relativo rischio di non piacere, di non essere accettati.

Strategie pratiche: impariamo ad accettare ciò che di noi ci piace e a tollerare la disapprovazione degli altri

Le nostre azioni possono stimolare delusione negli altri e il senso di colpa spesso nasce dal timore di essere disapprovati. Dimostriamo a noi stessi che possiamo tollerare le reazioni altrui, proviamo a fondare la nostra approvazione su noi stessi. Riconosciamo le azioni commesse e accettiamo le emozioni provate, esse sono importanti, autentiche e possiamo renderle preziose usandole come guida per il futuro.

Strategie pratiche: iniziamo un percorso di psicoterapia

Per affrontare i sensi di colpa è importante individuarne la fonte, liberarsi di fardelli pesanti che spesso non riguardano più quello che siamo o che facciamo oggi, ma solo quello che siamo stati o che abbiamo vissuto. La psicoterapia, inoltre, ci può aiutare a capire cosa stiamo evitando rimanendo focalizzati sul senso di colpa. Ad esempio ci può capitare di sentirci in colpa per un’azione (“Ho una relazione extra-coniugale”; “Mangio continuamente”) ma di continuare a ripeterla nonostante la sofferenza. Il senso di colpa può distrarci dal porci delle domande più dolorose (“Cosa voglio dalla mia relazione?”; “A cosa mi serve mangiare di continuo?”). Lavorare su se stessi è una sorta di ritorno all'autenticità, uno sforzo ad essere connessi con i nostri reali bisogni nel qui ed ora.

 

 

Lo scorso sabato, come sapete, ho tenuto un seminario dedicato al tema dell’Autostima nell’ambito del Mese del Benessere psicologico. E’ stata un’interessante mattinata ricca di spunti di riflessione e di confronto nati anche dalle domande dei partecipanti. Ecco un piccolo riassunto dei temi approfonditi durante il seminario.

Abbiamo risposto a quattro domande fondamentali.

1- Che cos’è l’autostima?

Innanzitutto una definizione di “autostima”: è l’atteggiamento che ciascuno ha nei confronti di se stesso a livello cognitivo (Cosa penso di me?), a livello emotivo (Cosa provo per me?) e a livello comportamentale (Cosa faccio per me?). I problemi di autostima nascono dalla discrepanza tra il Sé ideale (Come vorrei essere?) e il Sé percepito (Come mi vedo?). Insieme abbiamo tracciato il profilo di una persona con bassa autostima ed una persona con alta autostima anche a partire dalle esperienze di tutti.

2- Cosa influenza quotidianamente la mia autostima?

Per rispondere alla seconda domanda ho illustrato i temi delle valutazioni interne (Cosa dico a me stesso?) e delle valutazioni esterne (Cosa dicono gli altri di me? Che impatto ha su di me?). In particolare ho approfondito e spiegato come le nostre opinioni, i nostri comportamenti e le nostre aspettative, influenzano la nostra autostima creando un ciclo di rinforzo o di indebolimento.

3- Come posso proteggere la mia autostima?

Attenzione alla critica interna! La critica è la voce interiore che ci attacca e ci giudica e le persone con bassa autostima hanno una voce critica molto forte. Durante il seminario abbiamo visto come riconoscere la propria critica e come identificarne i messaggi nascosti.

Attenzione alle distorsioni cognitive! Come leggiamo la realtà? Le distorsioni sono “abitudini” di pensiero con le quali interpretiamo la realtà. Questo argomento ha suscitato particolare interesse, in quanto ognuno dei partecipanti si è riconosciuto in qualcuna delle distorsioni cognitive presentate.

Attenzione ai "devo"! I “devo” stabiliscono le regole su come vivere e sono la base da cui attingiamo i nostri pensieri critici o distorti. Insieme ai partecipanti abbiamo elencato alcuni tra i “devo” più comuni e abbiamo identificato alcune domande che ci possono aiutare ad individuare i nostri “devo”, passo fondamentale per cercare di ridimensionare il senso di obbligo e il senso di colpa.

4- Come posso potenziare la mia autostima?

In conclusione, alcuni tra i concetti fondamentali che supportano l’autostima: la comprensione e la benevolenza che nutriamo per noi stessi, sono l’essenza dell’autostima. Quando ci rivolgiamo a noi con questi sentimenti, tendiamo ad accettare i nostri errori, scegliamo obiettivi raggiungibili, nutriamo aspettative ragionevoli per noi stessi, siamo in grado di essere empatici con noi e gli altri, possiamo diventare assertivi nell’esprimere i nostri bisogni e i nostri desideri.

Ma come riuscire a comprendersi? Come possiamo affermare il nostro valore? Come gestire i propri errori? Che vuol dire essere assertivi? Gli spunti da cui partire per rispondere a queste domande sono molti e meriterebbero di essere approfonditi singolarmente, magari in un altro seminario.

Il dibattito finale mi ha confermato la grande attenzione che viene posta all’autostima in riferimento ai ragazzi, ai figli, sempre più a rischio di scarsa autostima come dimostrano recenti statistiche; attenzione anche al tema dell’assertività sui luoghi di lavoro e al come affrontare, con se stessi, i sensi di colpa.

Ringrazio quanti hanno preso parte alla mattinata e hanno contribuito attivamente alla riuscita dell’incontro. Spunti e domande mi saranno utili per i prossimi seminari. E ringrazio anche il Mese del benessere psicologico che non finisce qui: l’iniziativa SIPAP continua e tutti gli psicologi coinvolti, me inclusa, sono a disposizione per consulenze gratuite.

 

 

Psicoterapia con gli adolescenti

L’adolescenza è un “periodo critico”

Spesso accade che i ragazzi, nel periodo dell’adolescenza, abbiano delle "battute di arresto" che si manifestano con improvvisi crolli scolastici, chiusura apparentemente immotivata, tristezza, perdita di interessi, aggressività, comportamenti eccessivamente disinibiti, condotte a rischio come abuso di alcolici e sostanze. Il genitore può trovarsi a percepire il proprio figlio come una persona improvvisamente diversa e “nuova”.

Nella maggior parte dei casi questi comportamenti sono i segnali tipici della fatica che il ragazzo sta affrontando nel superare in modo adeguato i "compiti" di questa fase evolutiva: la definizione di una propria identità e autonomia, le gestione dei sentimenti ambivalenti verso i genitori, la comprensione e il rispetto per un corpo che sta cambiando, la gestione di pensieri e pulsioni fino ad ora sconosciuti.

E' importante non sottovalutare questi segnali di disagio al fine di permettere al ragazzo di riprendere nel più breve tempo possibile il suo percorso di crescita, evitando rischiosi “blocchi evolutivi”.

Quali sono i segnali di disagio ai quali prestare attenzione?

  • rabbia e aggressività (mi arrabbio con estrema facilità, perdo il controllo, odio tutti)
  • isolamento rispetto al gruppo dei coetanei (non ho voglia di vedere nessuno, non me la sento di uscire di casa)
  • disagio nelle relazioni con i coetanei (non riesco a parlare con gli altri, gli altri, nessuno mi ascolta, non riesco a farmi degli amici)
  • difficoltà ad affermare la propria personalità, crisi di identità (chi sono? non mi riconosco più?)
  • problemi scolastici (non mi importa niente della scuola, non riesco a dimostrare che sono capace, non sono intelligente) • disfunzioni nell’alimentazione (non ho fame, il cibo mi ripugna, oppure ho sempre fame, ci sono momenti in cui non riesco a smettere di mangiare, vomito quello che ho mangiato)
  • disagio rispetto al proprio corpo (non mi piaccio, sono cambiato e non mi piace come sono adesso) • dubbi sulla propria identità sessuale (non so se mi piacciono le ragazze o i ragazzi, ho il timore di essere gay)
  • conflittualità con i genitori (non riescono a capirmi, mi trattano come se fossi un bambino, invadono i miei spazi, non li sopporto più)
  • angosce e paure (ho paura di stare da solo, in certe situazioni mi blocco, ho paura di quello che gli altri pensano di me)
  • ossessioni (ho dei pensieri che mi disturbano e che non riesco a controllare, mi lavo le mani in continuazione, accendo e spengo la luce senza motivo...)
  • autolesionismo manifestato attraverso pensieri o veri e propri comportamenti (ho pensato di suicidarmi, penso di farmi del male, mi taglio, faccio cose pericolose, bevo)
  • somatizzazioni cioè malessere fisico per cui è stata verificata l'assenza di una causa organica (mi viene spesso mal di testa, mi va a fuoco lo stomaco, ho la pelle sempre irritata)
  • sofferenze sentimentali (nessuno mi vuole, chi potrebbe amarmi così come sono)
  • difficoltà a riconoscere con chiarezza i propri obiettivi di vita (non so in che direzione andare, non so cosa voglio)

Perché rivolgersi ad un terapeuta?

Se un ragazzo si trova a vivere uno di questi “segnali di sofferenza” può rivolgersi al terapeuta per mettere a fuoco l'ostacolo che sta impedendo lo svolgersi del suo percorso di crescita e per scoprire le proprie risorse e competenze rimaste inespresse.

Quanto dura una terapia con un ragazzo adolescente?

La durata temporale è tendenzialmente breve, in quanto cerca di favorire l'autonomia e il fisiologico percorso di emancipazione che un adolescente deve affrontare.

Che succede dopo che un genitore chiama per prendere appuntamento?

Spesso i genitori che si rivolgono a uno psicoterapeuta per una prima consulenza hanno difficoltà a coinvolgere il proprio figlio: si aspettano un suo rifiuto, temono che lui non ne senta il bisogno, non sanno se e come potranno convincerlo, dato che “ormai è abbastanza grande”.

Un punto di partenza fondamentale è quello di essere sinceri, se un ragazzo manifesta delle difficoltà è importante possa sentire che i propri genitori ne sono consapevoli e che hanno a cuore il fatto di affrontare la questione.

Inoltre in presenza di un adolescente, diventa molto importante la costruzione di un’alleanza con il terapeuta basata su una questione fondamentale: il terapeuta non rivelerà ai genitori i contenuti specifici che verranno confidati nel colloquio. Il tutto si pone nell'ottica fondamentale di poter favorire la massima collaborazione attiva da parte del ragazzo, che possa sentirsi quanto più possibile libero di manifestare i propri pensieri ed emozioni in terapia.

 

Non solo le emozioni possono essere intelligenti, ma esistono anche molteplici tipi di intelligenza!

La teoria delle intelligenze multiple di Gardner (1993) ha sfidato il tradizionale punto di vista dell’intelligenza considerata come una capacità unitaria che può essere misurata attraverso i test. Gardner presentò nove abilità mentali indipendenti per ogni persona:

  • Intelligenza linguistica permette agli individui di comunicare e di costruire il significato del mondo attraverso il linguaggio, è la capacità di utilizzare un vocabolario chiaro ed efficace. I poeti esemplificano questa intelligenza nella sua forma matura
  • Intelligenza musicale permette alle persone di creare, comunicare e comprendere i significati e le altezze dei suoni, le costruzioni armoniche e contrappuntistiche. I compositori e gli strumentisti mostrano chiaramente questa intelligenza
  • Intelligenza logico-matematica permette agli individui di usare e di apprezzare le relazioni astratte, riguarda il ragionamento deduttivo e le catene logiche. Gli scienziati, i matematici e i filosofi contano su questa intelligenza
  • Intelligenza spaziale rende possibile alle persone di percepire informazioni visive e spaziali, di trasformare tale informazione e di ricreare immagini tratte dalla memoria. Queste capacità sono necessarie nel lavoro degli architetti, degli scultori e degli ingegneri
  • Intelligenza corporeo-cinestetica chi la possiede ha una padronanza del corpo che gli permette di coordinare bene i movimenti. In generale si può ritrovare nei ginnasti e nei ballerini, ma anche nei chirurghi, coreografi e artigiani
  • Intelligenza inter-personale è la capacità di comprendere gli altri, le loro esigenze e le paure, di creare situazioni sociali favorevoli e di promuovere modelli sociali e personali vantaggiosi. Si può riscontrare nello specifico nei politici e negli psicologi o in generale in quanti possiedono spiccata empatia e abilità di interazione sociale
  • Intelligenza intra-personale è la capacità di comprendere la propria individualità, di saperla inserire nel contesto sociale per ottenere risultati migliori nella vita personale e anche di sapersi immedesimare in personalità diverse dalla propria
  • Intelligenza naturalistica consiste nel saper individuare determinati oggetti naturali, classificarli in un ordine preciso e cogliere le relazioni tra di essi. Alcune tribù aborigene mostrano una grande capacità nel sapersi orientare nell'ambiente naturale riconoscendone anche i minimi dettagli
  • Intelligenza esistenziale rappresenta la capacità di riflettere consapevolmente sui grandi temi come la natura dell'universo e la coscienza umana.

Dunque le emozioni non solo possono essere intelligenti, ma l’intelligenza può essere emotiva!

Una persona mostra una buona intelligenza emotiva quando è capace di motivare se stesso e di perseguire un obiettivo nonostante le frustrazioni, quando è in grado di controllare gli impulsi e di rimandare la gratificazione, quando è capace di essere empatico e di sperare. Nessuno può ancora dire esattamente quanto l’unicità di ogni persona sia dovuta all’intelligenza emotiva (Goleman, 1995).

Salovey (1990) nella sua definizione di intelligenza emotiva include le intelligenze personali di Gardner, estendendo questa abilità a cinque ambiti principali:

  1. Conoscenza delle proprie emozioni: l’autoconsapevolezza di un sentimento nel momento in cui si presenta
  2. Controllo delle emozioni: la capacità di controllare le emozioni in modo che siano appropriate alla situazione e la capacità di esprimerle in modo costruttivo
  3. Motivare se stessi: la capacità di dominare le emozioni per raggiungere un obiettivo è una dote essenziale per concentrare l’attenzione, per trovare motivazione e controllo emozionale
  4. Riconoscimento delle emozioni altrui: ossia l’empatia, fondamentale nelle relazioni con gli altri
  5. Gestione delle relazioni: l’arte delle relazioni si basa proprio sulla capacità di dominare e relazionarsi con le emozioni altrui. Ci tengo a sottolineare che tutte le eventuali carenze della nostra intelligenza emozionale possono essere migliorate in qualsiasi momento della nostra vita.

Le persone emotivamente intelligenti sono socialmente equilibrate, espansive e non sono soggette a paure di natura ansiosa. Hanno la capacità di dedicarsi ad altre persone e di assumersi la responsabilità di avere prospettive etiche e morali. In generale queste persone tendono ad essere sicure di sé ed esprimono i propri sentimenti in modo diretto.

Ci tengo a sottolineare che tutte le eventuali carenze della nostra intelligenza emozionale possono essere migliorate in qualsiasi momento della nostra vita!

Pubblicato in Stress e Rabbia

L’autostima ha un forte impatto sul nostro benessere, influenza il senso di autoefficacia, il tono dell’umore, le relazioni affettive, in generale, influenza le nostre scelte e quindi il successo che raggiungiamo nella vita.

L’autostima viene determinata da informazioni oggettive e soggettive, riferite a tre tipi di sé:

  • Sé reale: ossia la valutazione oggettiva delle nostre competenze
  • Sé percepito: è la visione soggettiva di quelle abilità, caratteristiche e qualità che sono presente o assenti
  • Sé ideale: è l’immagine della persona che desideriamo essere ed è influenzato dalla cultura e dalla società: “vorrei essere….”

 

I problemi legati all’autostima nascono dalla discrepanza tra sé ideale e sé percepito.

Le persone con alta autostima appaiono sicure, non hanno paura di sbagliare, sono capaci di stabilire buone relazioni con gli altri, hanno la capacità di percepirsi e rapportarsi a sé in modo realistico e positivo, sanno valorizzare le proprie abilità e tengono sotto controllo i propri difetti e le parti del carattere meno amate.

Le persone con bassa autostima spesso hanno difficoltà relazionali, dipendono dal giudizio altrui e hanno un bisogno costante di essere stimati dagli altri, soffrono di ansia, si sentono insicuri. Soprattutto non si sentono di realizzare i propri obiettivi e aspirazioni.

Fortunatamente l’autostima è una caratteristica dinamica e può essere modificata e rafforzata, evolve nel tempo, non si nasce con una alta autostima, ma questa va curata, coltivata e alimentata.

Durante il seminario verranno presentate le caratteristiche principali dell’autostima e le strategie finalizzate a potenziarla, inoltre, avremo modo di fare esercizi pratici ed esempi concreti per capire come la nostra autostima influisce sulla nostra vita.

Le persone che vogliono saperne di più e che sono interessate ad iniziare un percorso di conoscenza su questo tema, possono prenotarsi cliccando qui.

 

 

Psicoterapia con i bambini

Ogni bambino, come essere umano, è unico e irripetibile: un mondo senza uguali che bisogno prima di tutto conoscere e amare, perché possa riconoscersi ed esprimersi nella sua originalità e nella sua capacità di attaccamento

(Romanini, 2010)

 

Cari genitori,

molto più spesso di quanto siamo disposti a pensare i bambini si sentono soli o cattivi o prigionieri. Hanno disperato bisogno di parlare e di essere ascoltati.

Quali cause possono portare sofferenza ad un bambino?

Le cause possono essere diverse. Può trattarsi di un blocco della crescita a seguito di problemi di salute o di ambiente, possono intervenire traumi, malattie, disagi, può essersi manifestata qualche situazione patologica o possono essersi presentate complicanze nel sistema famigliare, come succede nel caso di separazioni, divorzi, perdite, nuove nascite, traslochi, variazioni del clima abituale (Clarkson & Fish,1988).

I bambini sono estremamente attenti al loro ambiente di vita, a tutto ciò che può cambiarlo e trasformarlo. Sono sensibilissimi al clima emotivo che li circonda, hanno una straordinaria capacità di accogliere lo stato d’animo di chi sta loro intorno, respirano l’atmosfera di casa.

Quando e come inizia la terapia con un bambino?

La terapia con il bambino inizia con la prima vostra chiamata telefonica, perchè da quel momento in avanti il terapeuta che avete scelto inizierà a “pensare al vostro bambino”, a tenerlo in mente, a crearsi un’immagine di lui e a farsi un’idea di lui e di voi basandosi sul tono della vostra voce e sulle parole che avete usato.

Come sarà il primo incontro?

Il primo incontro avverrà tra “grandi” e in questa circostanza il terapeuta prenderà in considerazione il vostro punto di vista, ascolterà le vostre richieste rispetto un eventuale trattamento o incontri di sostegno, accoglierà e comprenderà il disagio e la sofferenza. Soprattutto, sin dal primo incontro il terapeuta vi aiuterà a riconoscere le risorse già presenti nel vostro bambino e, parallelamente, il vostro potenziale di aiuto nei suoi confronti. Vostro figlio non sarà soltanto un “bambino-problema”, ma diventerà un ragazzino da scoprire e da riconoscere nei suoi aspetti interessanti e affascinanti.

Cosa fa un bambino in terapia?

Il bambino in terapia gioca, disegna, parla, inventa storie… è bene ricordare che il gioco è esso stesso una terapia (Winnicott, 1971).

Attraverso il gioco è possibile comprendere in quale modo ciascun bambino interpreta il suo mondo, le sue posizioni esistenziale, le relazioni interne ed esterne. Si potrebbe addirittura dire che il bambino metta in scena il suo copione davanti al terapeuta, per il terapeuta, con il terapeuta.

Se il vostro bambino sta affrontato momenti difficili di confusione o disperazione, il terapeuta potrà intervenire proponendo esperienze correttive attraverso il gioco o la narrazione di storie, offrendo possibili integrazioni e arricchimenti ai messaggi genitoriali. È dunque fondamentale una relazione di fiducia, rispetto e attenzione tra la famiglia, il bambino e il terapeuta.

Quale è il ruolo dei genitori durante la terapia?

Attraverso la terapia vostro figlio trarrà sostegno nel suo sviluppo evolutivo e acquisirà una rassicurante consapevolezza del suo potenziare creativo e una adeguata accettazione dei propri limiti. In questo processo è indispensabile il supporto dei genitori, basato sula convinzione, la determinazione e la fiducia nel vostro bambino e nella terapia.

Il bambino potrà così vivere in terapia i grandi permessi della vita: il permesso di essere un bambino (non un adulto precoce), di essere sano, di crescere, di amare e di essere amato, di pensare, di sperimentare e sperimentarsi, di essere riconosciuto, di avere successo (Romanini, 1999).

 

Tratto da “Lettera ai genitori” (Munari Poda D., A letter to Parents about Child Therapy, in TAJ, Vol. 33, n. 1, 2003).

 

Psicoterapia per adulti

La psicoterapia è uno spazio di ascolto e di sostegno nel quale il terapeuta lavora in sinergia con la persona per individuare la problematica centrale che crea malessere, per promuovere strategie che aiutino ad accrescere il benessere e migliorare la qualità della vita. Il trattamento psicoterapeutico è finalizzato quindi alla riduzione della sofferenza psicologica ma soprattutto alla realizzazione di se stessi e delle proprie potenzialità; all’aumento della consapevolezza del proprio funzionamento mentale e dei meccanismi interni che ci provocano disagio.

Come si lavora in psicoterapia?

La relazione tra la persona e lo psicoterapeuta è una relazione profonda basata sull’ascolto, la fiducia, l’alleanza e il lavoro di co-responsabilità verso un obiettivo comune. Il terapeuta ascolta l’altro con una mente “pulita”, “interessata”, “priva di giudizio”, permettendo al paziente stesso di imparare ad osservarsi e ad ascoltarsi.

La psicoterapia è generalmente un percorso più lungo rispetto una consulenza poiché il lavoro di terapia porta ad una modifica strutturale della personalità, non offre né soluzioni, né consigli, ma lavora su obiettivi concordati che permetteranno alla persona di riprendere il suo processo di crescita 

Da un punto di vista metodologico, considero fondamentale la stipulazione di un contratto di terapia come un presupposto di base per intraprendere un percorso di cambiamento. Per contratto intendo un impegno esplicito, sia del cliente sia del terapeuta, volto ad un ben definito obiettivo di cambiamento desiderato. È per questo che nella relazione terapeutica considero sia me stessa, sia il mio cliente nel ruolo di “co-protagonisti in creazione”.

Che cos’è il cambiamento in psicoterapia?

Con il termine cambiamento mi riferisco al recupero dell’autonomia intesa come capacità di utilizzare in modo responsabile le proprie risorse e competenze per fare delle scelte funzionali in relazione ai propri desideri e sulla base del proprio contesto specifico e attuale. Sostengo che l’autonomia si conquista con il recupero di tre capacità fondamentali: la consapevolezza, cioè la capacità di stare in contatto con il qui e ora dell’esperienza; la spontaneità, intesa come la capacità di reagire in modo libero scegliendo tra una ampia gamma di sensazioni, pensieri e comportamenti; l’intimità, ossia l’aperta condivisione con un’altra persona. 

Chi può rivolgersi ad uno psicoterapeuta?

Tutti possono rivolgersi ad uno psicoterapeuta. La psicoterapia è un percorso che può essere intrapreso da persone che soffrono di un disagio in particolare, ma anche da coloro che hanno il desiderio di imparare a conoscersi e rendersi più consapevoli di alcuni aspetti di sé.

Rivolgersi ad uno psicoterapeuta significa dare ascolto ad un’esigenza importante ed intima, che comporta due passi fondamentali: il primo passo è prendere coscienza del proprio stato di malessere o di bisogno e il secondo passo consiste nell’assecondare il desiderio di stare meglio e di occuparsi di sé.

Sono molteplici le situazioni che possono motivare la richiesta di una prima consulenza psicologica: spesso le difficoltà della vita stessa o situazioni di disagio derivate da eventi specifici (lutti, separazioni, cambiamenti improvvisi…) oppure da sintomi specifici (ansia, panico, insonnia, depressione, insoddisfazione…) non ci permettono di stare bene, ci creano disagi che si protraggono nel tempo, interferiscono con la nostra vita e non riusciamo a gestirli. In questi momenti è necessario rivolgersi a uno “specialista della mente”, una figura professionale che ci aiuti a comprendere meglio cosa ci sta accadendo e ad avere una maggiore consapevolezza di noi e di ciò che ci circonda.

Sono profondamente convinta che la decisione di cercare aiuto ed affidarsi ad un aiuto professionale è segno di saggezza, buon senso e fiducia nel proprio potenziale. È scegliere di non stare più male.

La terapia è un investimento sulla propria vita e sul proprio futuro. Significa investire tempo ed energia per essere più cosciente delle difficoltà che ci creano sofferenza e per sviluppare nuove forme di accoglienza di se stessi e di risoluzione dei problema.

 

 

Consulenza psicologica: cos'è e a chi è rivolto?

Il Servizio è rivolto al singolo individuo, ai genitori e alla famiglia.

La consulenza psicologica è un intervento breve (in genere pochi incontri) che si prefigge obiettivi specifici ed è rivolto alla promozione del benessere piuttosto che al disagio. Rappresenta, quindi, un supporto limitato nel tempo che pone al centro dell’attenzione l’analisi di una situazione problematica attuale, che può essere di natura affettiva, sociale, lavorativo, famigliare.

La consulenza psicologica non è una forma di psicoterapia, da essa infatti differisce per obiettivi, modalità di attuazione, tempi e metodi. L’obiettivo principale della consulenza psicologica è accrescere il benessere e migliorare la qualità della vita della persona, attraverso lo sviluppo dell'autoconsapevolezza, l’accettazione delle emozioni, la crescita e l’incremento delle risorse personali.

Il ruolo dello psicologo è quello di facilitare il lavoro della persona in modo da rispettarne i valori, le risorse personali e la capacità di autodeterminazione, al fine di “aiutarla ad aiutarsi”.

 

Le consulenze avvengono presso lo “Studio di Psicoterapia TALENTI” sito a Roma in Pietro Areatino 63, zona Talenti – Monte Sacro.

Per richiedere un primo incontro gratuito è sufficiente telefonare ai seguenti numeri:

In alternativa è possibile inviare un messaggio tramite l'apposita area del sito per chiedere informazioni sui nostri servizi di Consulenza psicologica.